GABRIEL GARCIA MARQUEZ, CENT'ANNI DI SOLITUDINE, OSCAR, MONDADORI, MILANO 1982, PP. 9-10 (disegno di Elvira Giannattasio)
Quando tornarono gli zingari, Ursula aveva predisposto contro di loro tutta la popolazione. Ma la curiosità fu più forte del timore, perché quella volta gli zingari attraversarono il villaggio facendo un rumore assordante con ogni sorta di strumenti musicali, mentre l'imbonitore annunciava l'esibizione della più favolosa scoperta dei nazianzeni. E così tutti andarono nella tenda e per un centavo videro un Melquíades giovanile, rifiorito, senza rughe, con una dentatura nuova e splendente. Coloro che ricordavano le sue gengive devastate dallo scorbuto, le gote flaccide e le labbra appassite, rabbrividirono di paura davanti a quella prova definitiva dei poteri soprannaturali dello zingaro.
La paura si trasformò in panico quando Melquíades si tolse i denti, intatti, incastonati nelle gengive, e li mostrò al pubblico per un istante — un istante fugace durante il quale tornò a essere lo stesso uomo decrepito degli anni anteriori — e se li rimise e sorrise di nuovo con piena padronanza della sua restaurata giovinezza.
Perfino José Arcadio Buendía ritenne che le conoscenze di Melquíades fossero andate oltre ogni limite sopportabile, ma provò un salutare sollievo quando lo zingaro gli spiegò a quattr'occhi il meccanismo della sua dentiera posticcia. La cosa sembrò così semplice e così prodigiosa nello stesso tempo, che dal giorno alla notte perse ogni interesse nelle ricerche di alchimia; ebbe una nuova crisi di malumore, rinunciò a mangiare in modo regolare e passava il giorno a bighellonare per la casa.
"Nel mondo stanno accadendo cose incredibili" diceva a Ursula. "A portata di mano, sull'altra riva del fiume, c'è ogni sorta di apparecchiatura magica, e noi continuiamo a vivere come gli asini."