MARGARET ATWOOD, OCCHIO DI GATTO, TEAI, MILANO 2005, P. 11 (disegno di Elvira Giannattasio)
Il tempo non è una linea ma una dimensione, come le dimensioni dello spazio.
Se si può piegare lo spazio, si può piegare anche il tempo, e se grazie alle necessarie conoscenze ci si potesse muovere più velocemente della luce, si potrebbe viaggiare a ritroso nel tempo ed esistere contemporaneamente in due luoghi.
Era stato mio fratello Stephen a dirmelo, quando studiava con la sua maglia marrone tutta sfilacciata e se ne stava a lungo a testa in giù, in modo che il sangue gli affluisse al cervello e lo nutrisse.
Non avevo capito cosa volesse dire, ma forse non si era spiegato molto bene. Già allora stava distaccandosi dall'imprecisione delle parole.
Fu in quei momenti che iniziai a immaginare il tempo come qualcosa con una forma, qualcosa di visibile, una serie di trasparenze liquide una sull'altra.
Il tempo non è qualcosa che si possa osservare guardando all'indietro, ma guardandoci dentro come se fosse acqua. A volte affiora in superficie questo, oppure quello, oppure niente. Niente scompare.